Novelle brianzuole
9781465636539
100 pages
Library of Alexandria
Overview
È un lavoro nè lieve, nè facile, rifare la mia Storia universale; ma tant'è; sono contento di essermivi accinto: mi spiaceva di lasciare al mondo un libro mio, che fosse rimasto indietro del tempo. Queste oneste parole ci rivolgeva Cesare Cantù pochi giorni sono. E davanti a quel vecchio di 76 anni, nel quale non sai se sia più robusta la fede o la tempra, si provava un sentimento di ammirazione per lui, e di vergogna per noi, di tanto più giovani, e che ci abbandoniamo sovente alla stanchezza e allo sconforto. Eppure quanti ostacoli non pose mai la calunnia sulla sua via! Ma egli ormai non si cura più della malignità invidiosa: «I miei nemici, dice, avrebbero voluto che mi fossi occupato di loro, ed avessi consumato il mio tempo nella sterile polemica; io invece lavoro.» E fu il lavoro la sua vendetta: vendetta generosa e feconda, perchè arricchì le lettere italiane di romanzi, di poesie, di storie, di opere educative che gli stranieri c'invidiano e traducono in lor lingua. In una modesta casetta poco discosta dall'Adda rapida ed azzurra che si allarga in lago davanti a Brivio, prosperosa borgata sorrisa dal verde dei monti e dal vivo aere brianzuolo, nacque Cesare Cantù nell'8 dicembre 1807. Sulla casetta oggi si vede un medaglione di marmo col suo ritratto e l'iscrizione: «L'effigie di Cesare Cantù — sulla casa dove nacque — i compatrioti posero lui vivo — il 16 settembre 1883.» Umile era la condizione della famiglia: la sventura aggravò quell'umiltà. Morì il padre, Celso Cantù, lasciando la vedova e dieci figliuoli; il maggiore di tutti era Cesare che aveva ventidue anni. Il giovane animoso sentì il grave còmpito, e lo adempì con coscienza: egli provvedeva a tutti, essendo professore prima a Sondrio, poi a Como, indi a Milano nel ginnasio di Sant'Alessandro. Aveva già pubblicato il poema Algiso o La lega lombarda, dedicato «alla lombarda gioventù cui stringe l'amore del loco natìo,» ristampato nel 1876 quando si festeggiò il VII centenario di Legnano. A quel libro tenne dietro la Storia di Como: e nello stesso tempo in un sermone poetico flagellava i cittadini comensi, che decretavano una lapide alla Pasta cantatrice, mentre lasciavano senza l'onore di un ricordo il Volta, scopritore della pila. Ma maggior fama gli venne dallo splendido commento ai Promessi Sposi, intitolato La Lombardia nel secolo XVII, dedicato «a voi giovani lombardi che, pieni di speranza, voi stessi le speranze alimentate della patria.» Paride Zajotti, arnese tristissimo di politiche inquisizioni, esclamò nel leggerlo: «Il Cantù fa due passi verso la gloria e tre verso la galera.» Cantù appartenne a quella corona di giovani eletti, come Cattaneo e Giuseppe Ferrari, che stavano intorno al venerando Gian Domenico Romagnosi, a cui l'Austria aveva persino negato il permesso d'insegnare legge privatamente. Il maestro aveva scelto Cantù come fidatissimo intermedio con un nucleo di generosi che cospiravano per la patria, e che avevano pregato il filosofo di Salsomaggiore di preparare in anticipazione gli statuti dell'Italia nuova. La mattina dell'11 novembre 1833 gli sbirri austriaci invadono la casa di Cantù, perquisiscono tutte le sue carte, e trascinano con loro in prigione il giovane professore. La carcere d'allora non somigliava alle facili d'oggi, dalle quali si vien fuori «martiri» e deputati; ma era inasprita dai giudici stranieri, che con torture morali cercavano di costringere i patrioti a rivelazioni; e lasciava travedere in fondo il fosco profilo dello Spielberg o della forca. Cantù vi stette un anno: non isvelò sillaba di quanto sapeva; e quando uscì di là, il 14 ottobre dell'anno appresso, ebbe la consolazione che Romagnosi l'abbracciasse dicendogli: «Non temetti un istante della tua fermezza.»