Title Thumbnail

Il secolo che muore

9781465581754
845 pages
Library of Alexandria
Overview
Il Guerrazzi, che tanto contribuì co' suoi scritti a fare l'Italia, si trovò nel regno d'Italia fra gli spostati e gli scontenti. Certo, a chi non sa scompagnare dal bene della patria le idee di grandezza, di forza e di dignità nazionale, non mancarono cagioni di dolore e di sdegno in quelli anni dal 1859 al '70. Se ne togli i piccoli ma gloriosi fatti d'arme del 1859 e la mirabile epopea garibaldina nelle provincie del mezzogiorno, i fasti della nostra unità sono abbastanza dolorosi, e non tutti molto onorevoli; la cessione di Nizza e Savoia, le battaglie di Custoza e di Lissa, Aspromonte, Mentana, e la presa di Roma (quando, abbandonata dai Francesi, non rimanevano a difenderla che i soldati del Papa). Con tutto ciò chi vorrebbe, piuttosto che averla avuta a questo patto, rinunciare all'unità della patria? Ma il Guerrazzi vide tutto più in nero che realmente non fosse, e fu, finchè gli durò la vita, continuo profeta di sciagure, le quali per fortuna non si avverarono. La miseria pubblica, il fallimento, il disonore nazionale, la perpetuità della dominazione francese e del Papa a Roma, erano gli spettri che assediavano la sua mente, ed erano, per lui, come tutti gli altri malanni della patria, le conseguenze inevitabili, fatali, del governo dei moderati. Prima del 1870, volgendosi ad essi, scriveva nei prolegomeni di questo libro: «mettete in Campidoglio la monarchia; compite l'unità italiana; procacciate che cessi la dominazione dei Francesi, come cessò quella degli Austriaci.» E quando, finito di scrivere il libro, vide la monarchia italiana portata a Roma e la dominazione francese cessata, aggiunse in nota: «La dominazione francese cessò non per virtù nostra, ma per infelicità altrui, epperò senza nessuna sicurezza di libertà vera. A Roma andammo, ma sarebbe troppo più lo scapito che il guadagno se ci avessimo a stare ai patti proposti dal Governo.» Si può scommettere che, se avesse vissuto qualche anno di più, e avesse visto all'infame setta dei moderati, come egli la chiamava, succedere nel governo gli uomini della sinistra, non avrebbe mutato linguaggio, o l'avrebbe mutato per poco. Forse avrebbe finito col persuadersi essere fatale in Italia che il governo duri perpetuo in mano all'infame setta, perchè anche i sinistri, arrivati al governo, diventano, pare, moderati. Agl'Italiani, assuefattisi a poco a poco a pagare le tasse e a fare a meno d'ogni alto ideale di patria, adagiantisi ogni dì più nel pensiero bassamente utilitario che oramai coll'acquisto di Roma l'Italia, o bene o male, era fatta, e che quindi agl'Italiani non restava altro che cercare di adagiarcisi ciascuno il meglio che fosse possibile, a questi cosiffatti Italiani non poteva che riuscire molesta la voce di un uomo il quale anche morto non cessava di annunciare il finimondo alla patria. A buon conto, pensavano, di tutte le tristi profezie da lui fatte non se n'era avverata nessuna.